Discesa e Incastro 2

Discesa e Incastro

E quando dalla terra dei demoni misi piede sulla terrà ci fu una cosa che imparai ad ascoltare. Il suono del mio respiro.
Ho pochi ricordi di ciò che ero prima.
Non ricordo il mio primo respiro, non ricordo quando ho avuto la vita, non ricordo la prima luce.
Ma ricordo perfettamente ogni mio ultimo respiro, lo ascolto, vedo la vita appena passata, scorgo il buio.

Quello che mi piace è il vuoto. Mi piace il senso del nulla. Mi piace che tra me e il mondo ci sia distanza, mi piace che tra noi due ci sia niente.

Amo non essere qui, essere lontano da tutti voi. Essere negli spazi giusti tra quello che vi conforma e quello che vi differenzia, tra quello che non avete e quello che volete, tra ciò che siete e ciò che immaginate di essere.

Per il resto odio tutto. Odio tutti. E Odio ogni vostro nome.

Da quando ho fatto il mio primo sorriso non ricordo i miei Si, quasi nessuno.
I No li ricordo tutti. Ricordo ogni volta che ho girato le spalle, ogni volta che ho sorriso, ogni volta che ho abbassato la testa. Ogni No.

Dello spazio che esiste tra le due parole, si – no, ne sono affascinato, da tutto quello che in mezzo non c’è. Mi piace il vuoto. Mi piace quel vuoto. Mi piace il vuoto che può esserci tra le scelte.

Rincorro la libertà che viene dalle scelte, quella veloce e sfuggente realtà che si pone davanti, oscurata da un velo che non ti dice mai cos’è.

Nel buio mi riconosco, senza guardarmi, senza toccarmi, senza ascoltarmi, senza odorarmi. Sono l’unico che sa riconoscermi così. Sono l’unico che riesco a riconoscere così.

Dal mio ultimo sorriso penso solo che ad occhi aperti sorrido meglio.

Pensavo a quel semplice, umano desiderio di trovare chi ci assomiglia, chi guardandolo riflette noi stessi almeno in parte, per stabilire un legame, e per accorgerci nel profondo del nostro cuore, che non siamo soli.

Vedevo quella storia delle legature, degli incroci, delle mandate doppie e dei pezzi di puzzle.
Scoprivo la differenza tra agganciarsi e incastrarsi.

Guardavo le persone in giro, vedevo come molti cercavano qualcosa per cui stare meglio e qualcuno per cui stare peggio. O Viceversa.

La ricerca, quello è, nella vita cerchi sempre, anche se non lo sai, ed il senso lo sappiamo tutti ormai, non è quello che raggiungi, ma è quello che vivi, le strade che percorri, le scelte che fai, le persone cui passi sopra, le mani che porgi per alzare qualcuno, il tuo corpo e la tua mente che si ergono a difesa di chi ne ha bisogno.

Quello che fai, cioè che dice chi sei, ti da la forma, ed è così che mentre giri le spalle e torni nella terra dei demoni, sei me, e incontri chi si incastra con te e forma il disegno da colorare affinchè il buio diventi luce.

Ti stai perdendo (non) me

E’ che tu che stai di la non ti stai perdendo me. Quello sarebbe il minimo, forse sarebbe anche niente.

E’ che ti stai perdendo i tramonti, ti stai perdendo i sorrisi,
ti stai perdendo le risate, ti stai perdendo le birre, ti stai perdendo le parole,
ti stai perdendo gli amici, ti stai perdendo le persone che passano e poi vanno via,
ti stai perdendo.

E soprattutto li stai perdendo senza me. Che potrebbe essere tutto.

E nemmeno lo sai.

Fine.

Come glielo dici ad uno così che non c’è più niente da salvare, ma solo carne in fase di putrefazione da lasciare a macerare sotto gli ultimi giorni di sole? Come glielo dici a uno così che se uno molla la presa l’altro non potrà mai avere la forza di sostenere tutto il peso su di se?
Come glielo dici ad uno così che la parola fine sta a significare che non c’è più male, perchè non c’è più niente? Come glielo dici ad uno così che non si può credere agli occhi che mentono?
Così, glielo dici.

Nell’unico modo. L’unico che recepisse.

Io sento il lamento del tempo che passa.

Ogni tanto passa una frase, passa nella mia testa per giorni o settimane, a volte mesi ed anni. Parte spesso dallo stesso posto. Da anni ormai.

“Chiedo venia mi vida non senti il lamento del tempo che passa,
l’arroganza che diventa stile e ti fa sempre ridere.”

Che forse davvero dovrei chiedere venia se non scusa, forse sto passando o sono già passato e non me ne sono accorto, forse rido perchè ridere è facile.

“dopo un’attenta analisi, confronti e riflessioni ho capito che io,
no, non ho capito niente di te,
non ho capito niente di te.”

Come se ci fosse bisogno di un’attenta analisi, di confronti o riflessioni. Alcune cose si capiscono subito. alcune cose le capisco subito.

“Credendo di sapere quello che ci aspetta
(ho voglia di)
vedendo come tutto cambia un’altra volta
chiedendomi se ancora tu mi stai ascoltando
(perdermi)
allora dimmi che sei qui e non stai fuggendo.”

Ma poi in realtà la parte bella non è proprio sapere cosa c’è dopo? Non è sperare in qualcosa di migliore?
Perchè quando qualcosa cambia può cambiare anche in meglio, perchè so che tu, tu che sei li a pensare e leggere, so che almeno tu mi stai leggendo e mi stai ascoltando.

“ma quale noia mi da
farmi incantare dall’eccesso per giustificare e fingere di non vedere i miei difetti,
sai,
io drogo i sensi per assecondare istinti che mi inchiodano e mi legano qui,
sei sempre in fuga da te,
gioia cercarsi e ridere
senza vestirsi di una calma sempre più apparente,
e non mi accorgo che
io sono il mio peggior nemico
un fragile gigante per sociare i raggi del suo ardore”

Quando in fondo basterebbe soltanto essere leggero nel vestito migliore?

“Chiedo venia mi vida
non senti il lamento del tempo che passa.”

Forse la mia vita no, ma io inizio a sentirlo il tempo, inizio a sentire la schiena.
Questi capelli bianchi mi creano scompenso. Davvero lo fanno. A me che pensavo non sarebbe stata una cosa preoccupante.
Forse perchè quando meno te lo aspetti capita l’inaspettato e non sai mai come reagire?

Ho quasi trentanni, troppi capelli bianchi per quelli che mi vedevo addosso fino a qualche settimana fa, ma ho ancora mille perchè che aspettano una risposta. Come se di anni ne avessi dieci.

E ora è meglio tornare a correre, altrimenti ci prendono!

Soltanto uno, pagina uno

– “E’ normale che quando si vuole ricominciare si cambi qualcosa? Che ne so il luogo dove si vive, i capelli, qualcosa…”
– “Si è normale, l’uomo scappa sempre”
– “Come sempre?”
– “Si, sempre. Scappa quando sta male. Scappa quando sta bene.”
– “E perchè?”
– “Non riesci a tenere un leone in gabbia e vorresti tenere un’anima in un corpo?”
– “…”

*poooooo poooooo*

Quarta Diminuita

Piede a terra. Scese. Piede a Terra.
“Bong …ong …ong …ng …ng …g …g …g …g”
Fu la prima volta che suonò uno strumento in vita sua e lo suonò nel peggiore dei modi, la sorte non era proprio sua compagna.
Il metodo scelto dalla vita per presentargli il suono non fu sicuramente dei più melodici, la prima cassa i suoi occhi la stavano vedendo troppo da vicino, un faccia a faccia impietoso.
Niente polpastrelli, unghie, niente dita. Niente sonorità armoniose, un suono muto. Un colpo. “Bong!”

A terra.

Fu così Joe che ricevette il benvenuto a Roma. Fu così che inizio a cambiare qualcosa.

ritorno dopo un’andata senza ritorno

In effetti era strano stare li fuori, era strano per lui dopo tanti anni.
Poi per forza – obbligatorio – per il tipo che era non poteva essere normale.
Era passato qualche mese, ma lui era ancora pazzo? Era mai stato pazzo?
Sicuramente le persone che gli stavano intorno – il mondo – non stavano meglio di lui.
Dare una patente ad uno dopo pochi mesi che è uscito dal manicomio? Dopo dieci anni. Dopo anni. Dopo lunghi anni. dopo brevi lunghi anni. Chi era pazzo in realtà?

Aveva deciso di tornare a casa Joe, di vedere come era il mondo fuori ora che lui non c’era più. Come era cambiata la sua terra. Come era il sole sulla sua testa quando sotto i piedi aveva l’asfalto che da piccolo gli aveva consumato le ginocchia. Come era adesso quel campetto dove correva e rovinava ogni paia di scarpe nuove che sua mamma gli comprava. – Si si, anche comprate il giorno stesso, perchè lui non poteva far durare una cosa – E in effetti vedeva ancora strada passargli di lato, vedeva ancora qualcosa che riempiva i suoi lati. In senso opposto adesso.

“Non cerco più la mia città, ora so quale fosse la mia città. Ora cerco solo me, chi è dentro di me, chi è degno di me”.

Era su una macchina, una macchina affittata. RENT A CAR, fu la scritta che gli piacque. Comunque decise di prendere una automobile e di tornare da dove era partito anni prima.
Superò quel cartello autostradale che diceva “Benvenuto”.
Per prima cosa pensò:
– “Come cazzo fai a dire benvenuto? Sei il benvenuto perchè vogliamo tenerti qui in questo posto squallido? O sei il benvenuto perchè questo posto è talmente bello secondo noi da farti stare bene?”

Già non ci pensava più, aveva iniziato a girare senza una meta precisa. Voleva guardare. Si guardare. Perchè era un tipo curioso come sempre. E niente più.
In giro, finestrino aperto, occhi spalancati senza vedere troppo, senza la ricerca di qualcosa. Forse aspettando qualcosa che lo impressionasse, forse solo perchè era fatto così.

– “JOE!”
Una voce che urlava.
– “Joeeeeeeeeeeeeeeee!”
Inchioda sui freni. Si ferma. Inchioda sui freni e si ferma. Si ferma inchiodando sui freni. E pensa. Di colpo si gira, guarda e pensa.
– “E questo chi cazzo è ora? chi cazzo sa chi sono? Chi è che mi conosce?”
Un uomo, circa quarantenne, sembrava anche che lo conoscesse bene
– “Sono Orazio, non ti ricordi di me?”
– “…”
– “…”
– “Orazio… Cazzo quanto tempo… Quasi dieci anni… e io lontano da qui, lontano da tutto e da tutti…”
– “Ma che ci fai qui Joe? Sono felicissimo di vederti, dicevano che eri stato in un manicomio e che poi fossi morto”
– “Non muoio io… quelli come me non muoiono mai, dovresti saperlo. Ma si, nel manicomio ci sono stato. Sono appena uscito. E sono venuto a vedere cosa ci fosse ancora qui”
– “C’è poco qui. niente di quello che era quando tu eri qui. Niente di tanto tempo fa”
– “Sai, Orazio, ho visto un pò giro, niente c’era, niente c’è, niente ci sarà, ma io qui ci tornerò sempre, perchè è qui che sono diventato io, è qui che sono diventato uomo, è qui che voglio morir, ma ancora non è il tempo.
E ormai qui non ho niente, non ho niente fuori, devo andare ora, devo rientrare, sono stato troppo fuori, ho visto quanto basta per adesso. E poi tu non lo sai, ma ho una montagna da scalare.”
– “Ehy Joe, siamo cresciuti insieme, lo so come tu ‘funzioni’, vai continua per la tua strada, non ti perderai mai. E salutami il mondo, in quel piccolo dove tu sarai avrai un mondo davanti ai tuoi occhi che in qualche mondo sarà tuo”
– “Ciao Orazio, ci rivedremo, primo o poi sarò fermo qui. Ora Vado.”

Si fermò alla prima cabina telefonica che vide, dopo pochi chilometri.
– “Pronto? Cercavo il Dr. Smith, sono Joe”
– “Salve Joe, un attimo che glielo passo.”
– “Sono il Dr. Smith. Joe mi dica.”
– “Salve Dottore, volevo solo dirle che sto tornando.”
– “Joe, lei non mi crederà non so perchè ma io lo sapevo. L’aspetto”
– “Anche io lo sapevo. Sto tornando. A presto.”
– “A presto.”

Ripartì Joe, pensò nella sua mente: “Smith, che cognome del cazzo”. E subito dopo: “sto tornando”.
E il dr Smith, subito dopo aver chiuso: “Sta tornando.”, sorrise.

Strada… Tanta strada… Tanta strada da fare… Stava tornando.

contare…

“1…2…3… stella…”
“1.2.3.stella!”
“unduetrestella”

Ricordavo quando ero bambino… quando ero felice.. quando non avevo pensieri…
ricordavo quando giocavo felice con le mie cuginette… quando mi sbucciavo le ginocchia… quando un paio id lamberjack che a tutti duravano una vita a me duravano giusto il tempo di una partita a calcetto al campo della chiesa…

Ricordavo.. e volevo smettere di farlo…

Ricordavo.. ora che sono qui.. chiuso.. dentro questo corpo… dentro questo palazzo… dentro questa stanza… chiuso dentro me…